
09 Lug Leoni marini al liceo Tirinnanzi
Il giorno 21 maggio il ricercatore di fama internazionale Filippo Galimberti ha tenuto presso l’Istituto Tirinnanzi una lezione alle classi seconde del liceo scientifico. Galimberti ha voluto raccontare la sua esperienza ormai più che trentennale da biologo marino che lo ha portato a lavorare in varie zone del mondo, concentrando i suoi studi sulle specie di leoni marini ed elefanti marini (delle isole Shetland e del Messico), così come sulle orche. Ecco come l’incontro è stato raccontato dai nostri ragazzi di seconda.
La sua storia
Il ricercatore Galimberti studiò presso la facoltà di biologia dell’università dell’Insubria, a cui partecipò, come ci ha raccontato, spinto dall’interesse per una ragazza. Studiando questa materia, se ne appassiono sempre più, arrivando a capire che avrebbe voluto svolgere la professione di ricercatore. Proseguendo gli studi si occupò durante il suo dottorato di una ricerca sui caprioli. Questi studi erano però troppo poco dinamici per i suoi gusti e per quello che avrebbe voluto fare: gli animali si potevano infatti osservare solo in poche ore del giorno, perché per la maggior parte del tempo non si facevano vedere. Così andò in Argentina ed iniziò a studiare i leoni marini e di conseguenza le orche, le quali erano un problema in quanto cacciavano i primi. Lo studio dei leoni marini, però, gli sembrava troppo invasivo e venendo a contatto con gli elefanti marini se ne appassionò all’istante, tanto da decidere di studiarli, invogliato anche dai metodi poco invasivi utilizzati nella ricerca. In questo modo ebbe l’opportunità di girare il mondo.
La professione che svolge
Filippo Galimberti è un biologo che si occupa della ricerca su alcuni mammiferi marini, in particolare sugli elefanti marini. Egli fa ricerca sul campo, quindi studia questi animali direttamente nei loro habitat naturali, osservando i loro comportamenti. Il professore si occupa in dettaglio dello studio di come un elefante marino di sesso maschile diventi un maschio dominante e della sfera riproduttiva di questi animali.
La ricerca sul campo si svolge seguendo il metodo scientifico: per prima cosa, osservando gli animali, si fa un’ipotesi; successivamente bisogna capire quali dati servono per dimostrare la tesi che si vuole sostenere; in seguito si cerca di raccogliere questi dati, capendo come analizzarli; infine ci sarà un set di risultati e bisogna capire quali occorrono per dimostrare l’ipotesi. Se si riesce a dimostrare la propria tesi, questa andrà alla pubblicazione scientifica.
La ricerca sul campo non è per niente facile e non è come ce la presentano alla televisione. È sicuramente emozionante, entusiasmante, interessante e appassionante, ma è anche molto faticosa e presenta molte complicanze. Ci sono, infatti, molti problemi logistici, come le condizioni climatiche, la necessità di procacciarsi il cibo, il lavorare per tempi molto prolungati, quindi sveglie presto di mattina e rientri notturni molto tardi; ci sono anche problemi pratici, infatti in questi campi di ricerca non esiste una toilette e non arriva la corrente, quindi c’è bisogno dell’utilizzo di pannelli solari; infine ci sono anche dei problemi tecnici, come l’utilizzo di mezzi pesanti per spostarsi e la necessità di muovere grandi quantità di materiale. Bisogna quindi sapersi organizzare anche in condizioni precarie e riuscire a svolgere la ricerca in situazioni difficili, supportati però dalla passione che nasce studiando questi animali.
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L’incontro
All’inizio dell’incontro il prof. Galimberti ha subito specificato che esistono due specie di elefanti marini, simili ma differenti, una che abita nell’emisfero nord, sulle coste della California, e una in quello sud, presente nell’area che va dall’Antartico alle coste meridionali dell’Argentina. Queste due specie, sebbene abitino in emisferi diversi del mondo, quindi con condizioni climatiche molto differenti, hanno anche molte caratteristiche in comune, infatti si comportano in modo uguale in mare, sulla terra e durante la fase riproduttiva.
L’aspetto più interessante di questi animali è che passano una parte della loro vita sulla terra e una parte in mare. Gli elefanti marini, infatti, stanno sulla terra durante il periodo della muta e della riproduzione, ma sono anche perfettamente adattati alla vita in mare, difatti sono abituati alle immersioni, in media fino ai 1000 metri, ma qualche esemplare è arrivato fino ai 2000 metri di profondità di immersione.
Gli elefanti marini hanno dimensioni molto grandi, sono gli animali della famiglia delle foche più grossi, e nella loro specie è presente un forte dimorfismo sessuale, quindi maschi e femmine sono molto differenti: i maschi sono molto più grandi e hanno una sorta di proboscide, inoltre presentano serie di cicatrici sulla pelle, perché possiedono uno scudo dermico formato da un ispessimento della cute e ricco di vasi sanguini, che si danneggia durante i combattimenti tra maschi e che spesso provoca un’ingente fuoriuscita di sangue.
Gli elefanti marini sono abbastanza longevi, i maschi hanno un’aspettativa di vita di quattordici anni, le femmine invece circa per venti anni, ma sono stati segnalati esemplari ben più anziani.
La stagione riproduttiva è abbastanza limitata, occupa solo una parte dell’anno: i mesi di settembre, di ottobre e di novembre. Durante questo periodo gli animali non mangiano, ma utilizzano come fonte di energia soltanto il grasso che avevano accumulato nella stagione passata in mare. Questi mammiferi hanno un sistema di riproduzione coloniale, formano infatti degli harem, gruppi di esemplari di sesso femminile con un solo esemplare maschio, che feconderà le femmine del gruppo. C’è una forte competizione tra i maschi per le relazioni di dominanza, che creano una gerarchia. Questa competizione porta a veri e propri scontri in cui prima i due esemplari maschi si chiamano (vocalization), in seguito si mettono uno di fronte all’altro, alzando il busto (display), successivamente iniziano a spingersi (push), fino ad arrivare ad aggredirsi mordendosi (bite). La dimensione dell’esemplare può influire sul l’esito del combattimento e quindi nel successo di riproduzione, infatti per capire quale maschio potrebbe vincere uno scontro basta ricavare il suo outline, cioè il profilo del suo corpo, da cui si può ottenere il peso. Il vincitore della contesa formerà l’harem di cui parlavamo prima.
A volte, però, le femmine non vengono fecondate dall’harem holder, cioè dal maschio dominante, ma da altri maschi, c’è quindi la necessità di sapere chi siano i genitori dell’esemplare appena nato. Per questo motivo bisogna prendere un campione di cute dei potenziali padri e analizzarne il DNA. Ogni esemplare porta dei marcatori con una configurazione del DNA diversa, quindi, trovata la configurazione della madre e del piccolo, si può trovare quella del padre.
La ricerca sul campo necessità quindi anche di una parte di ricerca in laboratorio.
Inoltre, bisogna tenere sotto controllo gli esemplari di elefanti marini, dovendo sapere sempre dove si trovano. Per questo motivo si attaccano sul capo di questi animali con della colla dei localizzatori satellitari, che trasmettono continuamente informazioni ai ricercatori.
Conclusione
Sicuramente l’incontro è stato esemplificativo di come si presenti la vita di un ricercatore come quella del professor Galimberti e senza dubbio ha catturato l’attenzione di molti di noi che probabilmente hanno percepito e apprezzato la passione che il relatore aveva nel discutere di questo tipo di argomenti e nel suo lavoro.
Matteo, Leonardo, Andrea, Matteo, Classe Seconda B