
16 Ott Quando una semplice gita può infrangere i confini spazio-temporali
Cronaca di una giornata in Val d’Aosta, scritta da uno studente di prima liceo.
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.” (M. Proust)
con questa frase ben impressa nella mente che, venerdì 3 ottobre, sono partito insieme ai miei compagni della I^ A alla volta di Aosta, città che avevo già avuto modo di visitare. Con i miei “nuovi occhi”, ho cercato, durante il viaggio, di “guardare” bene i miei compagni, perché proprio loro potevano essere la mia prima scoperta di quella giornata; ed infatti le piacevoli sorprese non sono mancate.
Una volta giunti ad Aosta, la nostra guida ci ha portato a vedere l’antico ponte romano. Il buffo era che c’era il ponte, ma non il fiume; questo perché, a causa delle trasformazioni che il territorio subì in epoca medioevale, il corso d’acqua aveva deviato il proprio letto rispetto a quello che seguiva nel 25 a.C., epoca della sua costruzione. Persa la propria funzione, esso venne mano a mano sepolto, per essere riscoperto solo in epoca moderna. Da lì ci siamo spostati all’arco di Augusto che mi ha subito impressionato, riportandomi allo splendore della Roma dell’età augustea.
Ancora una volta, ho avuto quindi modo di constatare che i Romani raggiungevano sempre il loro scopo: è infatti per impressionare i visitatori e comunicare la loro potenza che costruirono quest’arco.
Questa parte della visita ha indubbiamente risvegliato il mio interesse per la storia dell’antica Roma; mi ha fatto piacere riscoprire la funzione del cardo e del decumano, origine di tutto il sistema viario e dell’urbanistica del capoluogo della Valle d’Aosta e non solo. Potrei dire che tutto parlava dell’antica Roma, persino il nome della città che deriva direttamente da Augusto.
L’arco è veramente ben conservato, ma a testimoniare lo scorrere dei millenni, vi è il tetto che è stato aggiunto in seguito e che può essere fatto risalire al 1700, poiché realizzato in ardesia secondo lo stile valdostano dell’epoca. Siamo infine giunti alle porte pretoriane che costituivano l’antico ingresso della città: Aosta era una infatti ubicata in un punto strategico, fra l’Urbe e le province galliche.
A conclusione del nostro percorso sulle orme degli antichi Romani, siamo quindi giunti al teatro che ci si è mostrato in tutta la sua semplice bellezza, nonostante, a differenza dei Greci, i Romani costruissero i teatri in luoghi casuali, non attribuendo però loro nessun valore sacrale.
Abbiamo poi fatto “un balzo temporale” ritrovandoci nel 1150, anno di costruzione del chiostro romanico di Sant’Orso, che si deve ad una comunità di preti devoti alla regola di sant’Agostino; in questo luogo così particolare, ho ammirato gli splendidi trentatré capitelli che, oltre ad avere una sicura valenza artistica, hanno anche un profondo significato religioso.
Il tema raccontato è quello relativo all’intreccio della storia dell’umanità e di quella della salvezza, ripercorrendo alcuni passaggi biblici. Fra tutto ciò che ho potuto ammirare in questo luogo, il capitello raffigurante dei mostri mansueti che guardano al percorso di salvezza, è quello che più mi ha fatto riflettere sul fatto che forse il messaggio poteva essere rivolto, oltre che ai cristiani, anche a tutti coloro che, pur non avendo fede, possono comunque aspirare a intraprendere lo stesso percorso. Mi è sembrato potesse essere letto come un monito a seguire sempre e comunque la retta via.
La successiva tappa è stata l’osservatorio astronomico. Una volta introdotti al lavoro che lì viene svolto, abbiamo potuto ammirare lo spettro solare proiettato in una stanza buia tramite un complesso sistema di specchi ed ascoltare la dettagliata, ma mai noiosa, spiegazione di un astronomo, relativamente a che cosa è e di cosa si occupa l’eliofisica. Un accento particolare è stato posto sulle macchie solari, dovute alle diverse temperature della superficie solare che ne determina il continuo cambiamento. Era veramente interessante vedere con i nostri occhi ciò che ci veniva detto: il fatto che il sole non abbia un bordo definito, che vi siano nello spazio enormi quantitativi di particelle attratti dall’energia gravitazionale del Sole…cose che già sapevo, ma che guardavo in quel momento con occhi diversi, concependoli come una realtà più vicina e meno astratta. Se prima avevamo usufruito, se così posso dire, di una macchina del tempo, ora avevamo invece la possibilità di infrangere i limiti spaziali: questo è ciò che ho pensato vedendo i grandi telescopi che ci avrebbero permesso di lì a poco di “viaggiare nell’Universo”.
Per poter gustare appieno il viaggio che avremmo fatto la sera, presso il planetario, ci hanno fornito tutti gli strumenti per poter capire ed apprezzare la visione della Luna e delle Costellazioni. Il tutto mi ha affascinato, soprattutto perché mi piaceva pensare che al cielo si può guardare con le proporzioni matematiche, ma anche con la poesia dei grandi del passato.
Una volta scesa la notte, la nostra avventura fra le stelle ha avuto inizio e abbiamo osservato la luna. Crateri lunari simili a gocce nell’acqua d’immensa grandezza, dovuti alla caduta di asteroidi, distese pianeggianti dette mari, il tutto di un bianco assoluto accentuato dal nero universo che lo circondava, sono le cose che abbiamo potuto osservare. Ci è stato poi spiegato come gli studi di astrofisica stiano cercando di concretizzare il sogno dell’uomo di poter arrivare fisicamente su di una cometa per poterne studiare ogni aspetto.
Dopo questo viaggio “spazio-temporale”, siamo tornati alla normalità, stanchi ma estremamente soddisfatti. E’ rimasta l’eco delle emozioni, nonostante la stanchezza e, mentre guardavo fuori dal finestrino, vedevo la luna ed ho ricordato il verso di una poesia che mi accompagna dallo scorso anno: “Ed io, che sono?”
Massimiliano