
06 Mar Un imprevisto è la sola speranza: il Coronavirus come occasione al Liceo
“Se è vero (come è vero) che tutte le circostanze che ci accadono servono alla nostra crescita e maturazione, allora anche questo momento può essere per ciascuno di noi una grande occasione, se ci lasceremo da esso provocare e interrogare.”
Lo scrive ai ragazzi del Liceo la Preside Francesca Cantoni e lo dimostra la lettera di una studentessa che confronta il testo di una novella di Pirandello assegnata con la circostanza che sta vivendo.
Buongiorno ragazzi e buongiorno a voi docenti,
desidero farvi giungere il mio saluto all’inizio di questa nuova giornata, la terza, in cui facciamo “scuola” in un modo tanto diverso da quello a cui siamo, o meglio eravamo, abituati.
Devo dire la verità: tutta questa situazione mi pare alquanto strana: nei miei quasi 30 anni di insegnamento non mi era mai capitato di “insegnare” senza avere davanti i volti dei miei alunni, senza poter dialogare con loro, a volte anche arrabbiarmi con loro, senza poter incontrare i miei colleghi nel corridoio della scuola o davanti alla macchinetta del caffè.
L’idea, alla mattina, di non dovermi muovere per andare a scuola mi sconcerta un po’ , tutto sommato non riesco a farci l’abitudine e forse questo è un bene. Certo la tecnologia ci sta offrendo una grande opportunità, quella di poter continuare a lavorare insieme, docenti e studenti, alla scoperta della grandezza e della bellezza della realtà.
Come ormai sapete, è decisione di ieri sera di tenere le scuole chiuse ancora per un po’, per ora fino al 15 marzo poi si vedrà). Questo ci dice che la situazione è davvero seria e richiede tutta la nostra serietà e responsabilità di cittadini che devono sacrificare un pezzetto della propria quotidianità per il bene di tutti. Ma se è vero (come è vero) che tutte le circostanze che ci accadono servono alla nostra crescita e maturazione, allora anche questo momento può essere per ciascuno di noi una grande occasione, se ci lasceremo da esso provocare e interrogare.
Vi chiedo due cose: la prima è di non lasciarvi vincere dallo sconforto, dallo sconcerto e dalla preoccupazione per quello che sta accadendo: cogliamo invece l’occasione per andare a fondo di quello che davvero conta è vale in situazioni come questa è in generale nella vita di ciascuno: la presenza di amici, familiari, adulti che hanno a cuore ciascuno di voi, la bellezza della lettura, dell’ascoltare la musica o di dedicarci a una delle nostre passioni.
La seconda è di essere seri di fronte alle proposte didattiche che i vostri docenti stanno pensando per voi. Se anche all’inizio il pensiero di avere qualche giorno in più di vacanza può averci fatto piacere, ora le circostanze ci chiedono un passo di responsabilità e maturità.
Se questo accadrà, allora anche l’emergenza Coronavirus non sarà passata invano. E chissà che in tutto questo non nasca in tutti noi più forte il desiderio di tornare a scuola e di lavorare con più entusiasmo e passione quando finalmente potremo ritrovarci nelle nostre aule.
Vi saluto con affetto con l’augurio di potervi rivedere presto.
Durante queste insolite settimane che stiamo vivendo, ho avuto l’occasione di leggere la novella “Il treno ha fischiato” di Pirandello. Mi ha molto colpito perché l’avvento di questo covid-19 risuona, per me, come il fischio del treno che ha risvegliato dal torpore e dalla ripetitività della vita quotidiana il signor Belluca (protagonista del brano).
Ultimamente, per esempio, davo per scontato il fatto di andare a scuola (anzi, per essere totalmente sincera, mi pesava molto il dover studiare materie che, in fondo, reputavo estranee e non corrispondenti); non mi rendevo conto della ricchezza ricevuta dal vivere e coltivare le amicizie giorno dopo giorno; mi sembrava ovvio alzarmi al mattino, andare a Legnano, finita la scuola andare da qualche amico, tornare a casa di sera e andare, finalmente, a dormire. Questa condizione, invece, mi sta richiamando molto a quello che Pirandello, nel primo capitolo di “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”, esprime meglio di me, ovvero al fatto che: “Conosco anch’io il congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie. Oggi, così e così; questo e quest’altro da fare; correre qua, con l’orologio alla mano, per essere in tempo là. – No, caro, grazie: non posso! – Ah sì, davvero? Beato te! Debbo scappare… – Alle undici, la colazione. – Il giornale, la borsa, l’ufficio, la scuola… – Bel tempo, peccato! Ma gli affari… – Chi passa? Ah, un carro funebre… Un saluto, di corsa, a chi se n’è andato. – La bottega, la fabbrica, il tribunale… Nessuno ha tempo o modo d’arrestarsi un momento a considerare, se quel che vede fare agli altri, quel che lui stesso fa, sia veramente ciò che sopra tutto gli convenga, ciò che gli possa dare quella certezza vera, nella quale solamente potrebbe trovar riposo.”
Forse, questa situazione potrebbe essere un vero e proprio momento in cui fermarsi e ascoltare veramente l’esigenza, anche se molte volte viene messa in secondo piano, a cui ognuno vuole rispondere. Esigenza di capire il senso del quotidiano, il senso dei fatti che avvengono; desiderio di vivere fino in fondo ciò che accade, le amicizie, l’amore, lo studio, per poter riaffermare che è nella vita di tutti i giorni che si può essere felici!
Pochi minuti fa è arrivata mia mamma sul balcone (dove io sto prendendo il sole) annunciando: “scuole chiuse fino a metà marzo!”, e questo mi ha provocata ancora di più rispetto a quello che dicevo prima, accentuando le mie domande: a che cosa sono chiamata io? Come posso sfruttare questo momento? Da un lato, mi verrebbe da rispondere “stando con gli amici”, “godendomi il periodo di relax”; dall’altro, però, di fronte alla richiesta di molti amici di vedersi in gruppi numerosi, mi viene da pensare che io, stando continuamente con loro e trattando questo periodo come fosse una vacanza, non lo sto guardando e affrontando fino in fondo, con tutto quello che comporta, ovvero la richiesta dei medici e dei governanti (persone che ce la stanno mettendo tutta per migliorare la situazione e aiutare tutti) di limitare il più possibile il contatto con gli altri.
Queste questioni, da un lato, sono interessanti poiché mi fanno chiedere perché io voglia stare con i miei amici e perché io mi rattristi alla notizia della prolungata chiusura delle scuole; dall’altro, mi mettono ancora di più in crisi sul come comportarmi…
La cosa, però, che mi stupisce più delle altre è che, paradossalmente, in questo momento io mi sento viva, non scontata, e questo non è un semplice “qualcosa”, ma è un dono grandissimo, perché mi fa prendere sul serio, accorgendomi di un Eterno nei particolari.