La mostra sul ’68: una rivoluzione, un grido che risuona nel presente?

La mostra sul ’68: una rivoluzione, un grido che risuona nel presente?

Vogliamo (ancora) tutto?
Questa la domanda da cui ha avuto origine il percorso intrapreso da alcuni studenti del Liceo Scientifico Tirinnanzi, culminato nella mostra presentata questa settimana a Villa Jucker, Famiglia Legnanese.

Lo scopo era semplice: capire i moti del 68, il desiderio fondante i disordini di quel periodo così turbolento e rivoluzionario che ha, in forme e modi diversi, scosso il mondo.

Con sapiente consapevolezza e passione i ragazzi del liceo hanno indagato le cause e le conseguenze di tali eventi, pur mantenendo saldo il loro obiettivo, ovvero una possibilità di dialogo e riflessione sulla propria contemporaneità e sul presente.

La mostra non ambisce a narrare in modo morbosamente dettagliato i fatti. Essi sono fondamentali, ma non sono il vero fine di una simile esperienza. Certo è che gli eventi storici costituiscono una componente fondamentale, però tutto viene riletto in chiave personale, il grido di libertà dei sessantottini diventa la tensione esistenziale di ciascuno.

Tutto nasce da una situazione di disagio, da un momento di crisi, da una caduta di falsi ideali.

La pubblicità, il mondo del consumismo, la ricchezza originata dalla crescita economica postbellica conducono alla diffusione di un’idea di felicità innegabilmente ingabbiata in vincoli materiali.

La promessa di felicità e di libertà, che la pubblicità della Lambretta porta con sé, diventa sabbia, agli occhi dei giovani. I giovani, ottenuta la Lambretta bramata, si ritrovano spaesati perché riconoscono che i loro desideri non possono essere appagati dai beni.

Così essi ricercano sé stessi nelle altre promesse del mondo degli adulti. Ma da un lato vi è una famiglia chiusa, con una figura del padre troppo autorevole, dall’altro una chiesa, troppo ancorata alle tradizioni, o un’ideale politico, come quello del comunismo, che professa uguaglianza e giustizia perpetrando guerre e conflitti. I ragazzi, traditi da una realtà estranea, iniziano a costruire una propria società.

La trasgressione (hippies e capelloni) si tramuta in lotta passiva sostenuta da tutti coloro che vedono una discrepanza tra le promesse (per esempio il sogno americano) e le contraddizioni con cui queste promesse si scontrano nel concreto (guerra in Vietnam e segregazione razziale).

La ricerca di uguaglianza, libertà e felicità diventano il grido di una generazione che chiede semplicemente di essere ascoltata. Se, da una parte, questa richiesta viene ascoltata, nascono gruppi atti a valorizzare l’individuo come Gioventù Studentesca, dall’altra non è così. Alcuni giovani iniziano a credere che l’unico modo per essere ascoltati dagli adulti sia attraverso l’uso della violenza.

Di conseguenza nel 68 i ragazzi intraprendono una lotta politica attiva puntando ad abbattere i vecchi regimi. Le università sono colpite, viene vietato l’accesso; le chiese vedono giovani che interrompono le omelie per controbattere a idee ritenute assurde. È evidente come queste siano delle estremizzazioni, non bisogna costruirsi una concezione di gioventù violenta e ribelle. Accanto ai movimenti rivoluzionari vi erano anche luoghi di dibattito; ed è anche vero che questi moti hanno portato le famiglie e la persone a riflettere su sé stesse.

Così anche oggi, guardando a quel passato, anche noi possiamo interrogarci. Le promesse che ci propina la società ci garantiscono la felicità? Le cose, il nuovo modello di Iphone, costituiscono solo un palliativo all’insaziabile bisogno umano?

Come la mostra si è chiusa con una domanda, senza risposte, senza alcun bilancio o giudizio moralistico, allo stesso modo vogliamo concludere con un’apertura. Lasciando che sia ciascuno a riflettere e a chiedersi: ma quel desiderio di felicità, quella smania di libertà, possono esistere anche oggi?